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Alan Bedin spiega l’azione discografica sviluppata con Partho Sarothy: salvare il rasa.

PER PARLARE D’AVANGUARDIA a cura di Alan Bedin

Come per la “Nuova Musica” d’Avanguardia – indelicatamente chiamata contemporanea – la musica indiana, classica e popolare, è arrivata a conoscenza dei musicisti o del pubblico predisposto verso la fine degli anni ’50. Va fatta eccezione per il Veneto e la città di Venezia, baricentro culturale, dove ormeggiò la figura significativa di Alain Daniélou, diamante culturale assoluto per aver portato l’India in Occidente nei primi anni ’60. Il resto d’Italia e d’Europa cominciò a leggere e a comprendere la musica indiana, con testi e approfondimenti, solo dalla seconda metà della stessa decade. Hippy e giovani di controcultura furono indotti a raggiungere la terra di Śiva per imparare a suonare uno strumento tradizionale o a conoscere da vicino una filosofia differente. Per l’esecutore, per l’ascoltatore o spettatore, la musica indiana proponeva un punto di vista diverso per accostarsi all’arte musicale e coreutica.

Alan Bedin con il M° Partho Sarothy e il tablista e insegnante Stefano Grazia

Scartabelliamo tra le copertine: “Sitar Beat” di Big Jim Sullivan, poi i Byrds, i Beatles, i Rolling Stones, le reminiscenze dei Velvet Underground di John Cale; negli anni ’90, la rivisitazione, sempre psichedelica, dei Kula Shaker e l’influenza di Nusrat Fateh Ali Khan, la Real World Records di Peter Gabriel, che infervorò i cantanti più influenti del grunge americano, come Eddie Vedder, o del più improbabile devoto occidentale del qawwali, Jeff Buckley. Ma, con la corrente popolare più tradizionale e anche più seguita dal grande pubblico, si aprì la possibilità per i grandi marchi discografici di salvare performance in studio di grandi maestri indiani. Grazie al sommo maestro Ali Akbar Khan, protagonista della prima registrazione di musica indiana in Occidente nel 1955, e alla memorabile discografia del sitār di Ravi Shankar – iniziata l’anno seguente – musicisti e cantanti di svariati gharānā riuscirono a fermare nella storia l’esecuzione e la creatività nell’improvvisazione di rāga che, altrimenti sarebbero stati scordati o snaturati dall’inevitabile mutamento della guru-śisya-paramparā, vale a dire dell’ininterrotta trasmissione orale tra maestro e allievo. Quest’ultima ha subìto importanti modifiche a causa dei profondi cambiamenti sociali che hanno interessato l’India moderna, assieme alle influenze derivanti dai vari approcci pedagogici adottati da una comunità diasporica globale. Concretamente, con le pubblicazioni discografiche dei primi mentori citati e con le traduzioni di grandi trattati quali il Nātyaśāstra (inizio dell’era cristiana) o il Samgītaratnākara (1248), la diffusione culturale e l’espansione della teoria musicale indiana, con la conseguente rappresentazione del ruolo dello strumento e della voce, è avvenuta in Occidente grazie alla memorizzazione e alla stampa del disco fonografico in bachelite, soppiantato prima dalla gommalacca e poi dal vinile. Con l’associazione Hanuman e il coordinamento di Artis Records, label creata dal compositore Alfredo Tisocco, ho voluto continuare questa tradizione per memorizzare e creare un documento che perduri nella storia della musica contemporanea internazionale. Partho Sarothy rappresenta, con il suo sarod, un puro esempio di intensa relazione con la musica indiana e con la sua vera funzione, all’interno di un processo naturale che noi tutti dovremmo accogliere e su cui meditare. Hanuman, il dio in forma di scimmia, esiste da sempre, come pure il Suono, e impiega Partho per manifestarsi a noi uomini di passaggio. Date ospitalità a questo evento sonoro: è rasa, è bhakti, è devozione.

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