L’aderenza stilistica non deve in alcun modo allontanare il cantante da una preparazione cautelativa. Soprattutto in certe culture artistico-musicali come quelle orientali, dove la Voce e l’Arte del Canto sta sopra a tutto. Ad esempio nella vocalità indiana è presente un saggio e accorto sistema di studio (centenario) del canto basato su dettami che fanno invidia ai più grandi trattati di propriocettività (Dhrupad, Khyāl, Tarānā). E detto tra noi – anche se l’orecchio è il primo strumento del cantante – non è in alcun modo valido o corretto procedere nello studio della disciplina soltanto con un processo imitativo. Non è sufficiente! Ho riscontrato casi molto interessanti di pubblicazioni, training vocali a cura di Maestri che garbatamente avvicinavano il sistema tradizionale guru-shishya o detto parampara (rapporto didattico mentoring tra maestro-guru e allievo-discepolo) allo studio moderno fisiologico dello ‘strumento vocale’.

Se il canto viene praticato in giovanissima età senza la presenza di un educatore coscienzioso, il giovane in maniera istintiva e inconscia può danneggiare irreparabilmente il suo apparato. Di fronte a certi artisti della scena Qavvālī del presente e del passato sembra che certe voci siano state segnate da un destino cortese e gentile, ma… Bisogna essere corretti. La bellezza del canto indiano o orientale (arabo o pakistano) – di conseguenza la bravura del cantante – viene valutata per la sua funzionalità non solo estetica, ma anche estatica-funzionale. Il punto fermo è che la voce infantile ha caratteristiche differenti rispetto alla struttura anatomica della voce adulta. Le corde vocali più corte e sottili contribuiscono certo all’estensione, a note più acute e precise di bellissimo effetto ma al quanto deboli e consistenti dato il minore sviluppo dei risonatori. E in molti casi questi giovani cantanti indiani per imitare i cantanti adulti – per rendere la voce più ricca di armoniche – ‘raschiano’ scorrettamente durante l’emissione o assumono errate posture o portamenti provocandosi lesioni a vote difficili da rimarginare. È palese quindi che in alcuni paesi, in cui si segue una formazione tradizionale, un cantante è bravo solo se sa cantare ancora dopo i 40 anni…

Si può parlare senza timore di una specie di selezione naturale quando manca una buona preparazione tecnica o almeno una pratica diligente seguita da un insegnate coscienzioso. In questo periodo grazie ad Hanuman La Scuola di Musica e Danza Indiana ho avuto il piacere di seguire cantanti pop ma di provenienza tradizionale, intendo con esperienze di Gazal o Bhajan prima di trasferirsi in Italia con i genitori. Sicuramente musicisti vocali di lampante e palese preparazione teorica: dal solfeggio invidiabile del Sargam con accompagnamento di harmonium all’improvvisazione in tempi veloci in stile Tarānā ma purtroppo in nessun modo consapevoli dei meccanismi vocali (modale M1 e falsa voce M2) e soprattutto dell’arruolamento di risonatori dopo la prima emissione laringea. Quindi voci affaticate dal surmenage vocale, dallo studio matto oppure alterate da precontatti cordali soprattutto negli attacchi dei nom tom (sillabe onomatopeiche) senza consonanti, in akār (con la vocale ‘A’ a bocca aperta).
La soluzione del problema? L’inevitabile e competente visita laringostroboscopica, intendo una diagnosi: dettagli anatomici e funzionali delle corde vocali in varie situazioni vocali. Determinare la disfonia con uno specialista, quindi insieme all’insegnante precisare la situazione e il comportamento futuro del cantante di fronte ad una lesione glottica. Valutare il riposo, un percorso di logopedia e un cammino funzionale con il proprio insegnante per riprendere o stabilire un metodo coscienzioso per praticare l’arte del canto senza affaticamento o resistenze.
[Alan Bedin, l’influenza dell’arte vocale indiana nel canto moderno e contemporaneo]