All’interno del tempio Iskon di Albettone a Vicenza, il professor Roberto Perinu, rinomato esperto di Indologia e autore dell’opera “Musica Indiana”, presenta il concerto del maestro indiano con un intervento significativo e distintivo che si configura come una vera e propria guida all’ascolto, nonché prefazione per una pubblicazione alla quale l’etichetta discografica Artis Records ha dedicato particolare attenzione grazie al lavoro meticoloso di di Alan Bedin con lo staff di Hanuman.
UN MONDO DA LORO STESSI CREATO a cura di Roberto Perinu
La meravigliosa e elusiva natura della musica fa sì che l’oggetto del suono scompaia appena prodotto: il silenzio, dunque, è connaturato con la natura stessa del suono. Questa ambiguità produce una reazione affettiva, che l’India ha chiamato rasa, dipinta (rāga) nell’ascoltatore dalla voce, unita allo strumento e, spesso, compiuta dal movimento coreutico. La triplice natura composita della musica indiana (samgīta) dà vita a oggetti caduchi e affascinanti, intrisi di impermanenza, nel gioco infinito che dà misura illusoria e convenzionale (māyā) alla realtà. Come una linea è perfetta solo se incontra se stessa in un movimento circolare infinito, così il dipanarsi del tempo è infinito fino a quando non rincontra il suo inizio, dove si interrompe il rapporto emotivo suono-silenzio: fino a quando la musica finisce e il suono diventa il suo altro se stesso, il silenzio. Il cantante – o lo strumentista – costruiscono, col suono, un mondo da loro stessi creato, in cui loro stessi sono gli artefici e i padroni. Ecco che il percorso musicale scende fino al mondo degli oggetti divisi e concreti, che occupano spazio – dove stare – e tempo – per essere misurati. Ecco che il musicista risale verso il nāda brahman: perché è lui a creare e ricreare il suono, vale a dire l’oggetto perfetto che cessa il proprio essere appena creato: oggetto dalla duplice inscindibile natura contraddittoria, esemplificata dallo scendere e dal salire, che, insieme, interrompono l’infinito ritornare del samsāra consentendo al fruitore di conseguire l’arresto del flusso e la liberazione (moksa). La natura apparentemente effimera dell’oggetto del suono consente di ri-creare, in perfetto ossequio a una tradizione che sale a ritroso nei tempi, l’oggetto sonoro: né potrebbe essere altrimenti, trattandosi di entità impermanenti per loro stessa natura. Il musicista vive e suona ora, né potrebbe, in alcun caso, riproporre oggetti svaniti fin dalla conclusione medesima del loro stesso essere prodotti. Nell’ossequio ai Maestri – che è obbligo morale – sta la contraddizione necessaria alla libertà creativa. L’allievo è il Maestro, perché, ossequiandolo, lo perpetua, innovandolo. Tradizione, dunque, non può che essere innovazione perpetua costretta al presente: al presente infinito che è libertà dal tempo. Tale la musica; tale, in modo predominante, la musica in India.